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POLA X Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 17 maggio 1999
 
di Leos Carax, con Guillaume Depardieu, Katerina Golubeva, Catherine Deneuve (Francia, 1999)
 
Reduce (si fa per dire, perché sono ormai passati otto anni) da quel film spropositato ma pure affascinante che fu GLI AMANTI DEL PONT NEUF, Leos Carax (che si chiama in effetti Dupont, che è un po' come da noi Bernasconi o Brambilla; ed in quella sua volontà di cambiarsi il cognome c'è già tutto il personaggio...) si è autolimitato. Che, nel caso suo è pur sempre un modo di dire: tratto da un romanzo che Herman Melville iniziò a scrivere nel 1851, POLA X (0) è effettivamente costato assai meno dei famosi 100 milioni della catastrofica produzione precedente. Ma i suoi guai, udite le risatine fra la stampa che si sono tradotte in sberleffi alla proiezione pubblica di Cannes, non devono per questo essere terminati. Gli è che il principio del nostro rimane sempre lo stesso: mostrare, attraverso delle immagini progressivamente "deliranti", la fuga nella marginalità (morale, esistenziale, sociale, politica, sessuale, urbana) come riparo dalla degenerazione dei valori sui quali si costruisce la nostra società. Niente da eccepire, per carità: solo che, proprio il carattere abnorme di un procedimento che si basa sull'esaltazione, la passione, la dismisura esige se non un impossibile rigore, perlomeno la garanzia di uno stato di grazia; quello che nasce dalla qualità di uno sguardo. Cosi appare a prima vista questa storia di Pierre (un vibrante e seducente Guillaume Depardieu; uno dei pochi che alla faccenda sembrerà crederci fino alla sua conclusione...) che il regista ci espone (ma ahimè, per la prima decina di minuti) guidato dall'auspicato ordine espressivo. Una proprietà un po' Relais & Chateaux ma che insomma rende l'idea con lo sterminato prato all'inglese e l'infilata seducente di ondeggianti irrigatori, il bosco oscuro nel profondo del quale (prima delle infinite "telefonate" che si premureranno d'insegnare la scienza al popolo degli spettatori ignari nel corso del film) dramma e mistero si consumeranno fra breve, una mamma che piace ancora a tutta la Francia figuriamoci a suo figlio visto che il tema più reclamizzato è l'incesto (Catherine Deneuve, in tutti i sensi progressivamente ingombrante), luoghi ed oggetti che nel caso non fossimo ancora in chiaro evidenziano chiaramente, se non proprio sottilmente dove si va a parare: motocicletta e campi da golf, equitazione e tè al tramonto, camicioni di lino di preferenza immacolati non solo perché non devono esserci problemi di lavanderia ma perché uno dei temi sarà la perdita di ciò che qualcuno si ostina a credere sia ancora la verginità borghese.

Fine dei primi quindici minuti. E inizio: a) delle restanti due ore; b) dei dialoghi dove ci spiegheranno, si fa per dire ciò che ci stanno illustrando; c) della corsa negli abissi della marginalità urbana; d) dell'introduzione ai temi che fanno comodo da sempre genere incesto, omosessualità o Edipo più quelli contemporanei - consumismo, migrazione e profughi che evitano di fare letterario; e) del delirio formale da autore maledetto, a volontà gotico, New Age, destroy, high tech. Si finirà, per farla breve in un capannone industriale assordato da una specie di filarmonica elettronica dove i nostri aristocratici finiranno di degradare. Lui come scrittore: non proprio brillante, visto che si serve del correttore d'ortografia del suo computer per trovare i sinonimi. Lei (la conturbante Katerina Golubeva dei fascinosi film di Sharunas Bartas, qui affibbiata di un impossibile accento slavo oltre che di una consistente patina di sporcizia che la rende poco appetibile) come portatrice di tutte le disgrazie del mondo. Assieme, - quasi me ne dimenticavo - nell'ormai famosa scena di sesso hard, girata in un allusivo, sapiente chiaroscuro verdastro. Effettivamente fra le sequenze significative: di un regista dal discreto talento figurativo e dall'evidente infantilismo ideologico, aggravato da una delle più notevoli dosi di presunzione in circolazione.


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